Il Ritratto Fotografico
27 Set, 2021

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L’APPASSIONANTE VIAGGIO DAL DAGHERROTIPO AL DIGITALE, DA NADAR A MC CURRY

Fin dalla sua nascita, il ritratto è stato uno tra i generi fotografici di maggiore sviluppo e successo.

È un genere complesso, perché al suo interno le declinazioni possono essere molte.

Ancora oggi i ritratti fotografici sono un aspetto centrale e ben inserito nella cultura visiva contemporanea, tanto da passare inosservati. Carte d’identità, foto ricordo, foto di nozze, foto di corporate aziendali: il ritratto fornisce la struttura visiva su cui è costruita la narrazione della propria identità.

Il ritratto ha una lunga storia: le sue radici affondano nella storia dell’arte di tutti i popoli.

Senza spingersi oltre al bacino del Mediterraneo, i faraoni venivano ritratti nei geroglifici: erano a figura intera, riconoscibili non tanto per la somiglianza tra la rappresentazione e il reale, quanto per le dimensioni maggiori che li caratterizzavano. Ciò che interessava era che il ritratto permettesse l’immediata comprensione del ruolo sociale, del potere che l’immagine doveva irradiare.

E così è stato per secoli; attraverso la bellezza ideale della Grecia, passando per la celebrazione dell’Impero Romano e dei suoi eroi, fino ad arrivare alla solennità dell’arte religiosa bizantina prima e cattolica poi, le figure umane ritratte erano simboli, poteri a cui obbedire o esempi a cui fare riferimento.

Almeno fino al Rinascimento, dove l’utilizzo della prospettiva e la valorizzazione dell’uomo come centro dell’universo, hanno reso il ritratto sia elemento di riconoscimento dello status sociale, sia oggetto di indagine psicologica, aprendo alle future strade della pittura prima e della fotografia poi.

La figura ritratta diventa riconoscibile e non più solo “simbolo”, il ritratto diventa ambientato, e ciò che lo circonda o ciò che volutamente è omesso, ne diventa il carattere distintivo.

Passano i secoli, a metà dell’Ottocento la scienza è pronta per nuove e stimolanti sfide e la fotografia approda qui: inizialmente l’immagine ottenuta era di facile deperimento a causa di metodi di stampa poco stabili e spesso richiedeva l’intervento del fotografo-pittore nella fase di rifinitura.

Ma nel giro di pochi anni, le carte si stabilizzano e il medium fotografico si diffonde.

Come, ad esempio, nelle cartes de visite, le cui immagini erano così piccole che il fotografo non poteva indugiare troppo sul loro valore estetico; oppure nei più curati album fotografici di famiglia.

Ritrarre le persone attraverso il mezzo fotografico diventa, così, paradigma di democrazia: con la crescita di importanza economica e sociale della borghesia, la fotografia ha soddisfatto le esigenze di riconoscimento della classe media. Il ritratto non è più appannaggio della sola aristocrazia.

Questo passaggio rende capillare la fotografia, ma per avere i ritratti degni di nota bisogna rivolgersi a fotografi seri che lavorano su formati più grandi.

Fotografi come il celeberrimo Nadar, con i suoi ritratti potenti e carichi di immediatezza.

Il suo stile era semplice: faceva posare i modelli in piedi, contro fondi lisci, sotto un lucernaio e di tre quarti. Conosceva i suoi modelli, personalità del calibro di Theophile Gautier, Gioacchino Rossini, Gustave Dorè, Sara Bernhardt. Il suo modus operandi divenne una sorta di marchio di fabbrica e moltissimi furono gli epigoni che lo imitarono.

Da lì in poi, la corsa è repentina: mentre la pittura è ancora piena di sé e gli accademici snobbano il nuovo strumento espressivo con una veloce alzata di spalle, la fotografia evolve, si nutre dell’entusiasmo dei neofiti, assorbe dai chimici come dai pittori, dal cinema come dai semplici curiosi. E fu così che, dopo alcuni momenti in cui divenne difficile capire cosa fosse prerogativa della pittura e cosa della fotografia, finalmente i loro percorsi visivi si differenziano, dando vita a peculiarità di stile e di ricerca che hanno reso la fotografia diversa dalla pittura.