Leporelli di:
Limbania Fieschi – Anna Oberto – Maria Luisa Malerba – Giacomo Bonino – Marcello Frixione – Pino De Luca – Sandra Chiesa – Irina Gabiani – Philip Corner – Angelo Pretolani – Mauro Panichella – Roberto Rossini – Maurizio Duranti – Berty Skuber – Chiara Veronica Natta – Dario Gentili – Angela Mambelli – Mauro Ghiglione – Enzo Minarelli – Carla Iacono – Giulia Vasta – Emme Friperione – Antonio Flamminio – Fulvio Magurno – Maurizio Camerani – Paola Nizzoli Desiderato – Rebecca Ballestra – Sandro Ricaldone
Altri artisti in mostra:
Giannetto Fieschi – Claudio Costa – Aurelio Caminati – Carlo Merello – Roberto Agus – Piergiorgio Colombara – Emilio Scanavino – Rocco Borella – Chumi Chumez – Hans-Hermann – Ugo La Pietra – Corrado Bonomi – Ben Vautier – Giuseppe Chiari – Renato Mambor – Carlo Tognolina – Luigi Viola – Elisabeth Scherfigg – Lucio Pozzi – Henry Chopin – Gianni Bertini – Ugo Carrega – Vincenzo Ferrari – Aldo Mondino – Ben Patterson – Jackson Mac Low – La Monte Young – George Maciunas – Robert Filliou – Joseph Beuys – Emanuele Magri – Charles Deyfrus – Giuseppe Pellegrino – Nanni Balestrini – Geoffrey Hendricks – Sergio Muratore – Daniel Spoerri – Paolo Gioli – Li Chi Choi – Daniele Ferrarazzo – Sarenco – Lucio Fontana – Vittoria Gualco – Coco Gordon – Fabio Mauri – Remo Salvadori – Serge III – Roberto Floreani – Giovanni Rizzoli – Martino Oberto – Giulia Niccolai – Alik Cavaliere – Martin Hiddink – Rino Baldassare – Gianni Sedda – Jean Leppien – Antonio Calderara – Salvo – Gianni Baretta – Marco Vaglieri – Marcel Duchamp – Jean Dupuy – Takako Saito – George Brecht – Dick Higgins – Alison Knowles – Emmett Williams – Ugo Mulas – Matteo Sanna – Roman Opalka – Enrico Morovich – John Cage – Vittore Baroni – Viviana Buttarelli – Ay-O – Eric Andersen – Plinio Mesciulam – Aldo Spinelli – Raffaele Rossi – Loredana Galante – Giovanni Fontana – Arturo Schwarz
…Madamina il catalogo è questo…
Il libro d’artista è un lavoro artistico realizzato sotto forma di libro, spesso pubblicato come edizione numerata a tiratura limitata, sebbene a volte sia prodotto come oggetto unico e venga chiamato appunto unique.
Libri artistici sono stati prodotti usando una vasta gamma di forme, tra cui rotoli, pieghevoli, copertine, fogli rilegati o liberi contenuti in scatole. Gli artisti si sono occupati di stampa e produzione di libri da secoli, ma il libro d’artista si è affermato principalmente nel XX secolo. (Wikipedia)
La domanda di partenza dovrebbe essere “come nasce una mostra”, domanda alla quale è facilissimo rispondere ma altrettanto difficile dare una risposta convincente. In occasione di questa, che abbiamo chiamato “Declinando il libro d’artista”, sarebbe forse più opportuno chiedersi “come nasce una collezione”. In questo caso l’unica risposta che potrei dare è: “Quando qualcosa mi piace davvero, dopo 10 minuti ne ho almeno 3 esemplari!”
Parte fondante dell’esposizione è la quantità di libri d’artista che sono riuscita a raccogliere in questi quasi 50 anni da che è iniziata la mia attività di gallerista. Libri unici, libri oggetto, libri stampati con intervento, libri stampati in numero ridotto di copie, numerati, firmati, dedicati. Libri stampati formati da pochi fogli legati assieme con un nastro o con una cordicella, libri bianchi, libri senza parole, libri di immagini, ecc. ecc. Libri nei quali la dedica è più importante del libro stesso, carta, carta, carta a rivendicare il proprio diritto e la propria nobiltà nel tempo dell’ebook e dei tablet.
Mesi fa, quando la voglia di vedere e far vedere in “bella mostra” una parte dei libri era già diventata progetto, c’è stato un incontro con un oggetto speciale, il leporello “cahier de voyage” che Giovanni Fassio realizza, immaginando novelli Goethe o Stendhal a passeggio nel nostro bel paese a prendere appunti sulle sue meraviglie. Ebbene, mi sono innamorata di un Leporello, non di colui che canta “Madamina il catalogo è questo…”, ma di questo librino fatto a fisarmonica, che può anche rappresentare uno scrigno segreto in tempi in cui tutte le più intime sensazioni vengono condivise senza mistero e quindi senza fascino, sui vari social di cui siamo in qualche caso le vittime.
In un tempo brevissimo i leporelli si sono moltiplicati, sono passati dalle mani di Giovanni alle mie e poi a quelle di altrettanti artisti ed è nata una mostra nella mostra, bella, ricca e divertente come tutte le volte che si realizza un progetto con la stretta collaborazione degli artisti stessi.
Ora c’è un solo problema: 30 erano i leporelli, solo 29 rispondono all’appello… dove sarà finito il trentesimo fiore di questa collana speciale?
Caterina Gualco
17 novembre 2018
There is a myriad of possibilities for what artists’ books can be.^1
Dick Higgins
Nella storia millenaria del libro, l’avvento della stampa ha apportato una mutazione che Marshall McLuhan ha analizzato ne La Galassia Gutenberg, sostenendo che ha determinato il passaggio da una forma di comunicazione nella quale erano coinvolti tutti i sensi ad un assoluto predominio dell’elemento visivo e della razionalità. Se questa tesi, per quanto non priva di fondamento, può apparire eccessiva, è indubbio che in quel frangente il libro si è posto come uno dei primi oggetti seriali, idealmente predisposto per una produzione massiva operabile da chiunque disponesse della strumentazione necessaria, cui era tecnicamente più idoneo rispetto ad altre modalità di riproduzione meccanica come l’incisione, che – pur proponendosi fini analoghi – scontava limitazioni oggettive (il progressivo deterioramento della matrice) e implicava comunque una forma di autorialità elitaria. In questo consolidato contesto il libro d’artista interviene, fra Ottocento e Novecento, muovendo in tre diverse direzioni: – a ritroso, verso la forma del codice (miniato o semplicemente calligrafico), con un significativo recupero della componente manuale; – in avanti, attraverso l’incorporazione nella forma libro di materiali che le attuali modalità produttive non consentono di riprodurre in serie neppure attraverso le tecnologie più avanzate (sovviene a questo proposito l’osservazione di Peter Frank secondo cui “le idee realmente ambiziose a proposito della forma libro sono costrette a proporsi attraverso un esemplare unico e sono perciò assimilabili più al disegno o alla scultura che al volume da biblioteca”^2); – verso l’interno, in una sorta di decostruzione degli aspetti comunicativi usuali, alterati secondo varie strategie o addirittura azzerati. È a partire da un “acte de démence”, come Mallarmé definiva “Un coup de dés”, che si dipana questa nuova esistenza del libro. Un’esperienza sconvolgente, quasi una rivoluzione copernicana, di fronte alla quale Paul Valery non esitava a confessare “Mi sentivo come se scorgessi la figura di un pensiero fissato per la prima volta nello spazio. Qui in verità parlava l’esteso, qui sognava, qui produceva forme nate dal tempo. Attesa, dubbio, raccoglimento erano diventate cose visibili. Col senso della vista, palpavo pause corporee del silenzio”. Di qui un crescendo: dalle disposizioni mimetiche dei “Calligrammes” di Apollinaire agli esplosivi tour de force tipografici della marinettiane “Parole in libertà futuriste”; dai duetti fra parole e immagini di Cendrars e Sonia Delaunay (“La prose du Transsibérien”) e con Léger (“La fin du monde filmée par l’Ange N.-D.”), al design costruttivista nel “Dlia Golosa” (per la voce) di Majakovskij. Un crescendo che monta verso il libro imbullonato di Depero e la litolatta di Tullio d’Albisola e Bruno Munari; verso il collages détournés da Max Ernst in “Une semaine de bonté” e la “Boite verte” dove Duchamp raccoglie le note per il “Grande Vetro”, sino a incrociare le vivaci silhouettes ritagliate da Henri Matisse in “Jazz” … Ma è nel secondo dopoguerra che il libro d’artista si affranca completamente dal residuo che in precedenza lo legava sovente alla sfera dell’illustrazione, per trasformarsi in opera in se conchiusa. Feticcio e oggetto auratico, contenitore di nuovi alfabeti (come non ricordare in proposito “Les journaux des dieux” di Isou?), gioco permutazionale senza limite (Queneau), catalogo tematico di materiali visivi (Ruscha), prototipo di investigazioni strutturali (Gleber), di sole pagine trasparenti (Manzoni) o di istruzioni fuori schema (Yoko Ono), è venuto a costituire per gradi, analogamente alla Mail Art, una sorta di disciplina a sé stante, coltivata ovunque con intensità e frequenza, manipolando e combinando creativamente i linguaggi contemporanei. In questa mostra sono presenti, oltre a lavori prodotti per la specifica occasione, molteplici esempi riconducibili a talune delle tendenze che hanno animato la scena contemporanea: dalla Scrittura visuale (con Martino Oberto e Ugo Carrega) alla Poesia Concreta (Henri Chopin); dal Lettrismo a Fluxus e così via. Un autentico mare magnum da cui scaturisce l’interrogativo se nel libro d’artista sia o meno identificabile una tipologia, un vero e proprio “genere”. In senso negativo si è espresso, ad esempio, Dieter Schwarz^3, argomentando che non si danno, negli esempi concreti dei libri d’artista, caratteri costanti, un “denominatore comune” a suo parere necessario per approdare alla costituzione di un genere. La stessa “unità” del libro – secondo Michel Foucault – è precaria. Il libro, sostiene il filosofo francese, “ha un bel darsi come un oggetto che si tiene in mano; ha un bel rannicchiarsi nel piccolo parallelepipedo che lo contiene: la sua unità è variabile e relativa”^4 e ciò sia sotto il profilo del supporto materiale sia sotto l’aspetto discorsivo, ovvero della presentazione dei contenuti verbali e d’immagine. Un’opposta convinzione è stata espressa da Dick Higgins – artista Fluxus e promotore, attraverso la sua casa editrice, la newyorkese Something Else Press, del libro d’artista – secondo il quale “la produzione di libri d’artista non è un movimento. Non risponde a un programma che una volta adempiuto raggiunge il suo coronamento prima di scomparire, a poco a poco, nel passato. È un genere, aperto ad artisti di ogni sorta, con stili e obiettivi diversi”^5. E, a sostegno di questa opinione un argomento a mio parere non controvertibile è dato dall’esistenza, che in questa rassegna si può verificare in concreto, di una costellazione di autori che, pur nella diversità dei singoli approcci, si mostra consapevole di operare in un ambito condiviso, da una parte, e dall’altra di una comunità di fruitori che guarda a queste pratiche come un fenomeno sostanzialmente coeso sebbene plurale. Al di là di questa problematica, tuttora indecisa e forse non decidibile occorre riconoscere con Anne Mœglin-Delcroix che il libro d’artista “trae la sua ragion d’essere e il suo interesse dall’intima contraddizione che intrattiene tra il rifiuto dei mezzi convenzionali d’espressione artistica e una certa connivenza con la storia del libro”^6, che consente di evitare il duplice rischio di scadere per un verso nella mera illustrazione o, all’opposto, nella comunicazione tout court. Secondo la studiosa francese è “rimarchevole come i più grandi libri d’artista non nascano dal desiderio di fare un libro per fare un libro, ma di dire qualcosa che richiede il libro”. Un libro che non si dà come forma meccanicamente vincolante, ma realizza “un insieme di virtualità libresche multiple”^7.
Sandro Ricaldone
Note:
1) Dick Higgins, A Preface, in Artists’ Books. A Critical Anthology and Source Book, edited by Joan Lyons, Gibbs Smith Publishers, Kaysville 1985 p. 11.
2) Peter Frank, introduzione a Words & Images. A Contemporary Artists Books Exhibition, pagina non numerata.
3) Dieter Schwarz, Lawrence Weiner Books 1968-1989, Walther König, Köln 1989, pp. 127-128.
4) Michel Foucault, L’archéologie di savoir, Gallimard, Paris 1969, p. 34.
5) Dick Higgins, op. cit., p. 12.
6) Anne Mœglin-Delcroix, Esthètique du Livre d’artiste 1960/1980. Une introduction a l’art contemporain, Le mot et le reste / Bibliothèque Nationale de France, nouvelle édition revue et augmentée, Marseille 2012, p. 9.
7) Ibidem, p. 403.